martedì 8 marzo 2011

"Il vecchio che leggeva romanzi d'amore" di Luis Sepùlveda

Titolo originale: Un viejo que leía novelas de amor
Anno: 1989
Il vecchio di cui parla il titolo è Antonio José Bolívar Proaño, un uomo sulla settantina che vive in un villaggio perduto in Amazonia. E lasciatemelo dire, che Amazonia! Con la maestria che solo gli scrittori sudamericani sanno avere, Sepulveda riesce a dipingere di fronte a noi il paesaggio del luogo, i suoi animali esotici, i nativi del posto, le abitudini locali.
In poco più di 130 pagine Sepulveda ci fa fare un viaggio lungo tutta la vita di Antonio Josè, da quando si era trasferito con la giovane moglie a El Idilio alla morte di quest'ultima fino alle avventure con gli shuar e alla caccia al tigrillo.
La storia è costellata di flashback che però non distraggono e confondono il lettore, anzi, semmai lo aiutano ad entrare nella mente del protagonista.
Questo uomo ha avuto molte esperienze nella vita: dopo la perdita della moglie poco dopo essere arrivato sull'isola, si è avvicinato alla tribù degli shuar, dei nativi del posto, grazie ai quali è riuscito a sopravvivere alle difficili condizioni dell'Amazonia.
Con loro ha imparato a rispettare la natura, a potenziare le proprie capacità fisiche e ad uccidere con dignità un'altro essere vivente.
Tuttavia quando muore un suo amico shuar che gli chiede di vendicarsi e lui, per tener fede alla promessa, uccide il gringos con un fucile, viene meno a tutto ciò che la tribù gli aveva insegnato. E viene meno anche alla promessa fatta all'amico, perchè aveva infranto la prima regola: lasciare all'avversario la dignità nella morte.
E così Antonio abbandona gli shuar e torna a vivere nel villaggio insieme agli altri uomini.
Ed è qui che legge romanzi d'amore.
Luis Sepùlveda
La sua è una vita semplice, vive di ciò che riesce a cacciare e fra i suoi piaceri c'è quello di leggere in piedi su un tavolo i suoi romanzi d'amore, che il dentista gli procura quando viene sull'isola.
Ho trovato questo romanzo ricco di pathos e di tenerezza. Il vecchio è un personaggio molto umano, un saggio, uno di quelli che non esistono più nelle nostre società. O forse, se ancora esistono, siamo noi a non avere più le orecchie per ascoltarli.

sabato 5 marzo 2011

"Il valzer degli addii" di Milan Kundera

Titolo originale:Valčík na rozloučenou
Anno: 1973


5 giornate: ecco il lasso temporale della vicenda.
Cosa potrebbe mai accadere in soli 5 giorni?
Eppure, la maestria di Kundera riesce a far intrecciare in questo romanzo le vicende di molti protagonisti, ognuno diverso a suo modo eppure "vicini" al lettore.
Si ha la strana impressione leggendo, infatti, che ogni personaggio ha posizioni condivisibili o, per lo meno, comprensibili.
Ruzena, una giovane infermiera, si ritrova a vivere in un poso che non le piace, poco lontano da casa e sente la chiusura di quell'ambiente come qualcosa che la opprime e le impedisce di vivere la vita felice e spensierata di città.
Il trombettista Klima, uomo di successo che fa tournée e che per caso si ritrova incastrato in una spiacevole situazione con un'infermiera del centro termale.
Il dottor Skreta, famoso ginecologo in grado di rendere fertile anche il ventre più arido e con curiosi progetti eugenetici.
L'americano Bertlef, un uomo di mondo, che sa parlare e vivere come si addice ad un sessantenne pittore malato.
E, deus ex machina, Jakub, l'uomo che risolverà nel quinto giorno ogni cosa.
La storia è semplice: Ruzena è incinta. Ma di chi? La ragazza non ha dubbi, il padre deve certamente essere il famoso trombettista ( e non il contadinotto con cui era uscita tempo prima) e non ha nessuna intenzione di cedere questo dono prezioso che il cielo le ha concesso! Ora lei non è più una fra tante ragazze che ci sono in città, lei è superiore, è stata innalzata al cielo grazie al fugace incontro con Klima.
Milan Kundera
E mentre Ruzena si inorgoglisce del frutto del suo grembo, Klima sprofonda in un vortice di tristezza. Ha avuto una notte di passione con la giovane infermiera, è vero, ma lui ama sua moglie Kamila e non chiederebbe mai il divorzio per un figlio che non crede nemmeno essere suo.
Che fare allora?
Nei restanti quattro giorni Klima cercherà di convincere la ragazza ad abortire, con la compiacenza del dottor Skreta, ma l'impresa è più ardua del previsto.
A risolvere la difficile situazione è Jakub, un vecchio amico de dottore che torna da lui prima di abbandonare definitivamente il paese.
Questo curioso personaggio, anticonformista e con idee alquanto divertenti sul matrimonio e sul fare figli, fa cadere per sbaglio (?) una pillola di veleno nel tubetto delle pillole calmanti di Ruzena. Devo aggiungere altro?
La fine è già scritta.
Eppure particolarmente interessante è il dilemma morale di Jakub, che non sa se deve intervenire e avvertire la ragazza, oppure fare finta di niente. E poi non è nemmeno sicuro che quello sia realmente veleno ( non l'ha mica provato!)
Bello, bello, bello!
Mi è sembrato un po' il Pirandello di Così è se vi pare, una sorta di gioco delle parti molto ben riuscito. Vale di sicuro la pena di leggerlo!

domenica 27 febbraio 2011

"Cecità" di Josè Saramago

Titolo originale: Ensaio sobre a Cegueira. 
Anno: 1995
Cosa succederebbe se domani mattina, al volante della nostra auto, fermi ad un semaforo, ci ritrovassimo improvvisamente ciechi?
Questo è l'enigmatico inizio del romanzo di Saramago, edito nel 1995.
La storia è da subito interessante: un uomo si ritrova cieco, e con lui nel giro di poco tempo anche tutte le persone con cui è entrato in contatto dopo lo spiacevole evento.
E così questo misterioso "mal bianco" avvolge in un vortice tutti gli abitanti della città e del mondo.
Inutile sono i tentativi da parte del governo di fermare l'epidemia: non si sa come curarla o prevenirla perché nessuno sa cosa sia.
Fra i primi contagiati c'è anche un medico a cui il primo cieco e la moglie si erano rivolti, e con lui anche la moglie del medico, che, astutamente, finge di essere cieca solo per poter restare accanto al marito.
I primi malati, infatti, vengono prontamente messi in quarantena in un vecchio manicomio abbandonato e così questi sventurati si ritrovano a vivere un'esperienza che cambierà le loro vite.
Essi non possono nè uscire nè ricevere visite, rimarranno segregati in quella prigione per il bene loro e della società. Questo è quello che una voce ripete loro ogni giorno alle 18. Ma le razioni di cibo si fanno scarse e la convivenza difficile.
Da poche decine che erano all'inizio col passare delle settimane il numero aumenta, fino a superare i duecento.
Relegati in uno spazio estraneo, mal funzionate e poco igienico i protagonisti entrano in relazione fra loro, facendo regredire l'intera umanità a uno stato animalesco, dove i bisogni primordiali prevalgono sulla comune decenza e rendono l'uomo privo di spirito di collaborazione.
In questo sprofondare verso il basso il lettore assiste a scene degradanti e deplorevoli: omicidi, violenze, soprusi, indifferenza, impotenza. Saramago accompagna il lettore in questo viaggio e sembra quasi sussurrargli all'orecchio la domanda: riuscirà l'uomo a rialzarsi da questa degradazione e a recuperare la sua umanità?
La risposta si fa un po' attendere, ci vogliono circa duecento pagine di squallore per arrivare ad intravedere la via di fuga da quell'inferno.
Dopo la violenza sessuale che le donne hanno dovuto subire per procurarsi un po' di cibo, una di loro riesce ad appiccare il fuoco allo stabile e così spinti dalla paura delle fiamme questo branco di ciechi si spingono verso l'uscita e scoprono con grande stupore che non ci sono più i soldati a presidiare l'uscita. Non c'è più nessuno.
E così escono, ma quella che sembrava la fuga verso un mondo felice e libero si rivela ben presto un'altra prigione.
é allora che il gruppetto di cechi iniziale scopre che al mondo tutti sono diventati ciechi.
Tutti, tranne la moglie del medico.
Eroina singolare e fuori dagli stereotipi, questa donna sulla cinquantina è a mio parere la protagonista indiscussa di tutto il romanzo.
Lei è l'unica vedente in un mondo di cechi e si ritrova a dover accudire i suoi compagni di sventura con filiale affetto. 
é lei che da sola riesce a procurare del cibo per i sei compagni ( la donna con gli occhiati scuri, il bambino di cui si occupa fin da quando era nel manicomio, il medico, il primo cieco, la moglie e il vecchio orbo) ed è sempre lei che riesce a tenere unito il gruppo e che lo guida nelle strade della città.
Accompagnati da un cane che "asciuga le lacrime", questi sciagurati riescono a costruire un piccolo nido confortevole nella casa del medico e consorte e riescono a ricreare un ambiente familiare dove, appagati ormai i bisogni fisici, ricompare l'amore nella veste di un'anticonformista ed inusuale relazione fra il vecchio e la ragazza con gli occhiali scuri. 
E così, finalmente, Saramago ci offre la tanto attesa risposta alla domanda di prima: Sì, l'uomo riuscirà a tornare degno di tale nome.
Quando oramai sembrano essersi abituati a vedere con le dita e non con gli occhi, ecco che da dove era venuta la cecità scomparve e di nuovo fu la vista.
Ho trovato questo romanzo da un lato carente dal punto di vista razionale ( la cecità non viene spiegata e mancano alcuni nessi logici) ma dall'altro molto razionale e realistico ( a tratti in troppo) per quanto riguarda i comportamenti umani e lo sviluppo sociologico della vicenda. 
E, in fondo, dovendo scegliere, siamo proprio sicuri che in un romanzo del genere, illogico fin dalla prima pagina, ciò che conta è la spiegazione razionale e scientifica di ogni passaggio?
A mio parere con questo romanzo Saramago si riconferma, ancora una volta, un genio indiscusso della letteratura internazionale.